Nel cuore del ghiacciaio del Calderone tracce di vegetali e insetti

È terminata la campagna di perforazione del Calderone sul Gran Sasso, ultimo esempio del glacialismo della catena appenninica. Gli scienziati hanno per la prima volta a disposizione un campione di ghiaccio profondo dal glacio-nevato, la cui analisi chimica permetterà di ricostruire il passato climatico e ambientale del massiccio e delle regioni circostanti.

La missione, nell’ambito del progetto internazionale Ice Memory, è stata organizzata dall'Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) e dall'Università Ca' Foscari Venezia, in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), l’Università degli Studi di Padova e le società Georicerche srl e Engeoneering srls.

La spedizione che si svolta presso la conca del ghiacciaio, ai piedi del Corno Grande, a 2.673 metri di quota, ha visto coinvolgere il Corpo nazionale dei vigili del fuoco (VVF) che per l'operazione ha messo a disposizione personale e mezzi. Le operazioni sono state agevolate dall’apertura straordinaria del rifugio Franchetti, di proprietà del Club alpino italiano (Cai) di Roma, dal supporto operativo da parte del Soccorso alpino abruzzese e del Comune di Pietracamela.

Il carotiere ha toccato la roccia basale del glacio-nevato del Gran Sasso a 27,2 metri di profondità, aggiornando la stima di 26 metri realizzata dallo stesso team nelle settimane scorse, grazie alle indagini geofisiche che hanno permesso di individuare il punto più promettente per la perforazione.

Come riportato dal ricercatore Cnr-Isp e coordinatore sul campo della missione, Jacopo Gabrieli, la perforazione è stata difficoltosa sia causa delle condizioni meteorologiche spesso molto dure, sia perché il ghiaccio era plastico, ossia estremamente caldo e intriso d’acqua, e la punta del carotiere tendeva a impastarsi, non riuscendo ad inciderne la superficie.

Il campione di ghiaccio raccolto è risultato sempre più 'pulito' man mano che aumentava la profondità ma diverso da quello dei ghiacciai alpini a causa delle particolari condizioni termiche dei diversi strati. Solo approfonditi e mirati studi di laboratorio daranno modo di comprendere le caratteristiche di questo campione e di acquisire le informazioni chimiche e isotopiche conservate, se disponibili. Nella parte mediana del profilo è stata rinvenuta la presenza di residui vegetali e di insetti, la cui datazione potrà aiutare a comprendere quando si è accumulato il ghiaccio circostante.

La carota di ghiaccio ottenuta da questa massiva e tempestiva operazione (Calderone, che ogni anno perde circa un metro di spessore) offre la possibilità di ricavare importanti informazioni sulla storia climatica e ambientale dell'Italia centrale e dell’intero bacino del Mediterraneo. Un archivio ambientale davvero unico che "già a un primo sguardo presenta caratteristiche glaciologiche molto interessanti come asserito da Carlo Barbante direttore Cnr-Isp , professore all’Università Ca’ Foscari Venezia e co-ideatore del programma internazionale Ice Memory.

Una volta terminata la fase preliminare di analisi dei campioni e verificata la conservazione della stratigrafia e dei segnali climatici ed ambientali, la carota sarà messa a disposizione del programma internazionale Ice Memory e quindi trasferita presso il sito di stoccaggio presso il sito di DomeC, in Antartide.

Le attività sul Calderone sono parte di una serie di spedizioni per lo studio e la conservazione dei ghiacciai italiani finanziate dal Ministero dell’Università e della Ricerca (con il Fondo Integrativo Speciale per la Ricerca, Fisr) e con il supporto di AKU e KARPOS.